Cherreads

Chapter 1 - : "Tʜᴇ Pʀɪɴᴄᴇ ᴏꜰ Mᴜᴅ"

Chi parla con le bestie, prima o poi smette di parlare con gli uomini.

——•✧✦ Still Breathing I ✧✦•——

Il primo calcio arrivò prima che aprissi gli occhi.

Il secondo fu più convinto, diretto allo stomaco.

Ci sono modi peggiori di svegliarsi, ma non molti.

Essere buttati giù dal proprio letto per finire altrove conta sicuramente come uno di questi.

Fango freddo contro la schiena, un mezzo zoccolo accanto alle costole.

E l'odore — dèi, l'odore!

Dolce, penetrante, inconfondibile: merda fresca.

Di porco.

Almeno il calore di quelle feci era chiaramente visibile nel vapore che saliva lento.

«Alzati, rifiuto.»

Sempre lo stesso risveglio, da un anno ormai.

I maiali grugnirono. Uno mi starnutì sul ginocchio.

«Te l'ho già detto mille volte, no? Il ragazzo non impara niente. Niente! E io ti pago pure!

Ti tratto bene.

Ti do da mangiare ogni giorno!»

Un altro calcio. Non forte.

The kind that says I don't need to hurt you — I need to remind you.

Per riassumere, Quest uomo gentile, mi trascinò per la camicia lontano dal "letto", e mi gettò nel porcile, lanciandomi pure in testa il secchio del pasto.

Tranquilli, non era per me. Almeno quello.

Mormorò qualcosa su «dove cazzo sta quella lana» e tornò verso la casa.

I suoi stivali affondavano nel fango ghiacciato a ogni passo.

Io non urlai.

Urlare l'avrebbe reso personale.

E questo non era personale.

Solo... vita.

Mi tirai su lentamente, sputando terra e saliva.

Avevo dormito con la giacca come cuscino.

Le gambe mezzo fuori dalla coperta, il corpo dolente, il collo rigido.

Ma nulla di nuovo.

Persino l'odore nelle narici, e le pietruzze incastrate tra i denti, erano cose a cui ormai mi ero abituato.

Ma penso sia normale, per quelli che vengono comunemente chiamati perdenti.

Persino il proprietario, prima era diverso, almeno, quando il figlio maggiore, e il padre erano ancora in vita.

Ma quello che mi dava più fastidio, almeno in quel momento, era il freddo.

Durante la fase iniziale, forse per l'adrenalina, o semplice ostinazione, sembrava non toccarmi.

Poi arrivavo, puntuale.

«Tu mi paghi? Sei gentile? Pensavo che mi lanciassi nel fango per sport...» borbottai, rialzandomi senza fretta.

I piedi nudi toccarono il suolo fradicio del recinto, ancora intriso di umidità notturna e urina animale.

«Bah, che senso ha chiedere spiegazioni..»

Osservai i maiali per un momento — due erano già intenti a mordicchiarmi i pantaloni.

«Buongiorno, Regina», dissi alla scrofa col dente scheggiato.

Lei grugnì in risposta, scontrosa come sempre.

Mi stirai la schiena finché non sentii un piacevole schiocco.

Poi, ancora seduto, iniziai a narrare la mia vita, come faccio sempre quando le cose si fanno particolarmente… poetiche.

«Che sia noto ai poteri forti... che in questo giorno.

Sotto il sole.

Benedetto delle vaffanculo-e-un-quarto, io, indesiderato professore di bestie — e di bestie appena un po' meno istruite.

Sono stato nuovamente scagliato nel sudiciume da un uomo che caga più forte di quanto pensa.»

E i maiali gioirono.

Dentone scoreggiò in segno d'accordo.

Tre porci mi aspettavano, Muschio già intento a scavare con il muso accanto al secchio.

Li avevo chiamati Regina, Dentone e Muschio.

Non perché fossero simpatici, ma perché almeno con un nome potevi arrabbiartici meglio.

Regina, come avrete capito, è la peggiore: una scrofa massiccia, sempre rumorosa e affamata.

Potesse saltare, mi ucciderebbe per quel secchio pieno.

L accusata in questione si girò, osservandomi con aria minacciosa, schizzandomi di nuovo fango sulla gamba.

«Da quando mi capisci, brutta mai..»

Il fango si era ormai seccato a chiazze su braccia e ginocchia.

La camicia era macchiata, strappata vicino alla spalla.

I pantaloni erano tenuti insieme a malapena da una cintura fatta di corda intrecciata.

Ma i miei piedi?

I miei piedi erano zuppi e umidi.

Preferisco non specificare di cosa.

«Ora basta lamentele!

Devo iniziare a darvi da mangiare.»

Alzandomi finalmente, uscii dal recinto, saltando — e rischiando la morte, quasi scivolando.

Mi avvicinai al mucchio di roba che chiamavano "scorte invernali".

Una carriola abbandonata, mezza arrugginita, con dentro l'equivalente rurale di una punizione divina.

Frutta andata, verdure congelate a metà, pane più adatto a costruire muri che a nutrire.

C'era perfino un pezzo di formaggio verde, e non nel senso buono.

Un odore misto di aceto e palude aleggiava tra le bucce marcite e le foglie flosce.

«Certo che l inverso ci sta massacrando questo primo anno di "pace"..»

Presi il secchio più grande, lo riempii con quella sinfonia deprimente e mi avviai di nuovo verso il recinto.

I maiali, da bravi ottimisti cronici, si erano già accalcati contro la staccionata, grufolando come se stessi portando l'oro al re.

Appena rovesciai il contenuto, però, si fece silenzio.

Dentone fu il primo a ficcare il muso nel mucchio, ma dopo un paio di annusate tirò indietro le orecchie.

Regina lo seguì, grugnendo forte, ma si fermò appena il naso toccò un pezzo di rapa viscida.

Muschio si limitò a guardarli tutti, poi si voltò verso di me, come se dicesse:

"Davvero?"

«Ehi, non è colpa mia«, mormorai, mentre cercavo di staccare un pezzo di pane dalla massa congelata con un calcio.

«Vi lamentate del cibo? Avete idea di cosa mangio io? Spoiler: niente.

Poi voi siete maiali.. quindi mangiate di tutto no?

Pure me se ne avreste l occ... no, anzi meglio di no.»

Il freddo non aiutava la situazione.

Il cibo, già misero, sembrava morto due volte: prima nel campo, poi nel tempo.

Una zuppa d'aria e silenzio.

«Statemi bene, tornero piu tardi, prendetevela con l imperatore no?«

Mi avvicinai al recinto accanto, quello delle creature più rumorose.

Qui non c'erano animali comuni, ma esseri che solo un folle avrebbe allevato.

La prima gallina che vidi era Pluff, riconoscibile perché, quando si agita troppo, perde piume ovunque.

Pluff si voltò, aprendo le ali con aria offesa.

Motivo: semini vecchi, segatura mescolata a crusca e qualche guscio vuoto di noce.

Lei mi guardò con l'aria di chi si aspetta un insulto peggiore.

Sventolò le ali come a dire "vieni tu in prima linea per sta roba", poi iniziò a beccare con rassegnazione, perdendo una piuma ogni tre picchi.

Sapete, questa gallina ha questa perquliarita.

Pluff è un generale vero: va sempre in avanscoperta, precedendo gli suoi uomini, portandosi dietro a pochi metri l'intero esercito.

«Già, Pluff, giornata difficile anche per te?» domandai, gettandole una seconda manciata di semi.

Scappai subito, però.

Stavo già sentendo la prima retrovia arrivare.

"Ah no, oggi niente guerra, dopotutto siamo in "pace" no?."

Più avanti c'era il gruppo di Bubbolo, una capra dal pelo elettrico e dagli occhi enormi, sempre spaventati.

Beh, in realtà lo erano tutte, specialmente quando avevano fame.

Uno di loro, Mimo, mi osservò timidamente, tremando.

Razioe: un misto di cavoli rotti, croste di formaggio rancido e foglie secche recuperate dal fosso.

Bubbolo le annusò con occhi disperati.

«Non mi guardare così», sussurrai.

«È tutto quello che abbiamo.

E credimi, se avessi una coperta, te la darei.

Ma probabilmente la sto ancora usando come letto..»

Infine, mi occupai di Farf, una mucca piuttosto anziana.

Non produceva più latte, e infatti veniva lasciata a casa, da sola, mentre le altre andavano col gregge a fare festa.

Farf mugghiò con forza.

«Lo so, lo so, hai fame», dissi, avvicinandomi col grande secchio pieno di fieno dolce e frutta marcia.

Questa simpatica mucca, saggia, viene tenuta solamente per via di uno stupido desiderio, o ricordo.

Da quel che ho capito, era l animale preferito del figlio defuntp di quel essere che mi ha buttato nel fango.

C'era qualcosa di terapeutico nel prendermi cura di loro.

Farf, da parte sua, fu la sola a non protestare.

Si avvicinò al secchio lentamente, mugghiante, e cominciò a masticare fieno rinsecchito con una dignità che non meritava quel pasto.

Quando trovò una mela marcia in mezzo al mucchio, la sollevò con il muso e la posò ai miei piedi.

Un gesto.

Un giudizio.

Un silenzioso "tienitela tu, ladro di dignità".

«Va bene, ho capito.

Oggi vado in citta e ti prendo qualcosa di bello.

Se non mi congelo prima o dopo un bagnio nel lago ghiacciato.»

Grattai il dorso di Farf e cercai di sorridere.

Lei ricambiò leggermente.

«Hehe, vecchia volpe!»

Questi animali assurdi erano diventati la mia famiglia, ciascuno con le sue stranezze, difetti e virtù.

Guardai verso la casa, da cui provenivano grida lontane e risate divertite dal giardino.

«Stanno litigando ancora..»

Alzai gli occhi al cielo, respirando profondamente l'aria fredda e pungente.

«Sapete una cosa? Un giorno, tutto questo cambierà.

E quel giorno...»

Sorrisi amaramente a Bubbolo, che mi fissava curioso.

«Quel giorno saremo noi a ridere per ultimi..

Non so nemmeno se dovremmo prendercela come tutti con l imperatore, oppure con Drosvenn.»

Dentone grugnì dal porcile, quasi volesse dire qualcosa.

«Sì, Dentone, hai ragione.

Che senso ha parlare di cose piu grandi di noi stessi, quando ci basta solo del cibo per sopravivere un altro giorno..»

La fattoria rispose con versi caotici e strani, una musica scomposta di creature improbabili.

C'erano anche altri animali, tipo cavalli, o altri recinti…

Tuttavia, per mia fortuna, quelli non erano di mia responsabilità.

Per ora, questo era il mio mondo.

Sporco, bizzarro, imperfetto.

Ma almeno era un mondo che conoscevo.

E in cui, in qualche modo, trovavo ancora un senso.

˜"°•.   ♪   .•°"˜

Mi avviai verso il lago, un sentiero familiare che conoscevo fin troppo bene. I piedi scalzi affondavano nella fanghiglia gelida, le pietre appuntite sembravano particolarmente entusiaste quella mattina.

«Già, lo so che mi odiate,» borbottai alle pietre, «ma potreste almeno fingere di essere amichevoli ogni tanto?»

Il percorso verso il lago era breve, ma in quel freddo pungente ogni passo sembrava durare un'eternità.

Avevo fatto metà strada quando lo vidi. Beh, prima sentii l'odore, poi lo vidi.

Era Pog.

Pog era chiamato generosamente la "guardia della fattoria", anche se, con una gamba sola, era improbabile che potesse difendere qualcosa di più complicato di una sedia vuota. Appoggiato al tronco di un albero, la gamba destra sostituita da un bastone consunto, sputò rumorosamente per terra appena mi vide avvicinarmi. Il suo occhio sinistro, lattiginoso e cieco, mi fissò con ostilità.

«Buongiorno, Pog,» dissi con prudenza, mantenendo una distanza rispettosa.

«Taci, verme,» rispose con voce roca, parlando più al vento che a me. La mano libera era sospesa nell'aria, come se stesse stringendo quella di qualcuno invisibile.

«Dove stai andando?» chiese infastidito, sputando di nuovo ai miei piedi.

«Al lago. Un bagno,» risposi, cercando di sembrare tranquillo.

«Un bagno,» ripeté con disgusto, «sprechi acqua buona per niente.»

Poi aggiunse, più piano, quasi parlando a sé stesso: «Abbiamo visite. Un cliente importante per il padrone, dopo tanto tempo.»

Sorrisi amaramente: «Meraviglioso. Magari stavolta lasceranno qualche avanzo per noi.»

Pog alzò l'occhio buono su di me come fossi un fastidioso insetto. «Vattene, prima che decida di insegnarti un po' di rispetto.»

Lo lasciai indietro, immerso nelle sue discussioni con persone che nessun altro vedeva, dirigendomi verso la casupola accanto al lago, un rifugio precario fatto di assi marce e speranze infrante, dove Pog passava le sue notti solitarie.

Entrai, afferrai una vecchia coperta che odorava di muffa e lasciai i vestiti umidi vicino al camino spento, ormai ridotto a braci tiepide. Avvolto nella coperta, presi un cubo di sapone duro come pietra e mi affacciai all'esterno.

Il sole stava lentamente alzandosi, dipingendo il cielo di sfumature che per un momento mi fecero dimenticare tutto il resto. Respirai profondamente.

«Beh, almeno il cielo non è uno schifo totale,» commentai a nessuno in particolare.

Avvicinandomi alla riva, infilai con cautela mezzo piede nell'acqua. Un brivido di freddo mi scosse immediatamente.

«Per gli dèi, è più fredda del cuore del padrone!» esclamai ritraendomi istantaneamente.

Stavo raccogliendo il coraggio per riprovare quando, poco distante, notai qualcosa tra le rocce che emergevano dall'acqua. Una figura umana, chiaramente maschile, stava lentamente immergendosi nel lago, mostrando chiaramente la schiena segnata da profonde cicatrici e lividi freschi, violacei.

Mi immobilizzai, incerto sul da farsi, e istintivamente strinsi la coperta attorno alle spalle. La figura sembrava muoversi con lentezza, cauta nei movimenti, forse a causa delle ferite.

«Fantastico,» sussurrai con sarcasmo, stringendo il sapone nella mano, «non bastava Pog a rendere la mattina perfetta. Ora devo anche condividere l'unico lago abbastanza gelido da uccidermi con qualcuno che sembra appena uscito da una guerra.»

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