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Chapter 2 - : “Tʜɪꜱ ɪꜱɴ’ᴛ ᴋɪᴅɴᴀᴘᴘɪɴɢ ɪꜰ ɪ’ᴍ ᴛʜᴇ ᴏɴᴇ ʜᴏʟᴅɪɴɢ ᴛʜᴇ ᴜᴍʙʀᴇʟʟᴀ, ʀɪɢʜᴛ?”

✦ Protocollo di Emergenza – Invasione Inaspettata indesiderata

Mai lasciare che qualcuno cammini accanto a te senza aver prima elaborato almeno cinque possibili scenari d'interazione, un piano di fuga, e una scusa credibile per svanire nel nulla.

Se ti coglie impreparato, hai già perso.

E sei colpevole della tua stessa esposizione.

In questo caso si consiglia:

Scelta ottimale: Accompagnare in silenzio. Nessuna domanda, nessuna offerta di dialogo. Evitare contatto visivo diretto. Si consiglia mentire, usufruendo di un ipotetico, dolore alla gola. Usare l'ombrello come barriera.

Scelta intermedia: Fingere un'urgenza logistica (bagno, compiti dimenticati, nonna morta). Camminare più veloce del 46%. Sparire dietro un cassonetto, se necessario.

Scelta catastrofica: Comportarsi normalmente. Sorridere. Rispondere. Peggio: essere gentili.

7:17 AM – Liberta

Tirò fuori l'ombrello dalla borsa, aprì lo zaino lentamente, evitando di farsi notare troppo.

Si fermò vicino al muro del palazzo adiacente alla stazione, aspettando che gli altri studenti si dirigessero alle strisce pedonali per incamminarsi verso la scuola.

Questa strategia gli offriva il vantaggio di rimanere solo, voltato verso il muro a controllare se avesse preso tutto. Chiavi, telefono, libro. Controllò ogni cosa meticolosamente.

Questa sua "mossa strategica" aveva anche un'altra funzione: metteva abbastanza enfasi nei movimenti per far pensare, a chiunque lo notasse, che fosse semplicemente un ragazzo distratto, forse emarginato.

Non era completamente falso. Però nessuno avrebbe potuto vedere il suo viso, così voltato.

Poi il suo vero piano, era quello di rimanere da solo, senza troppi rumori e profumi dosati a secchi di giovani ragazze disperatre.

Rimase lì immobile per un minuto e circa 30 secondi.

Guardò il telefono e notò di avere ormai 25 notifiche non lette. Decise di ignorarle ulteriormente.

"Devo andare subito in bagno prima che qualcuno mi noti, e soprattutto ho bisogno di acqua da bere."

Ormai solo, mise il libro sotto il braccio destro e, armato dell'ombrello aperto per ripararsi dalla neve, si incamminò anche lui verso le strisce pedonali.

"Tutto ormai è pianificato e praticamente niente può rovinare la mia routine giornaliera, già abbastanza frantumata da una ragazza qualsiasi.

Ma poi che voleva da me? Onestamente non sono poi così brutto, ma stare a fissarmi in quel modo per tutto quel tempo va ben oltre il semplice desiderio o interesse carnale.

L'unica opzione è che sappia chi sono..."

Guardò sull'altro lato del marciapiede, a destra, dove si trovava un'altra fermata dell'autobus, notando immediatamente tre ragazze e due uomini.

Decise di girarsi verso sinistra, per evitare qualsiasi contatto visivo casuale con quegli sconosciuti.

O almeno così pensava.

Perche..

"Hey..."

Una voce femminile, chiara, che lo fece fermare istintivamente.

"Per caso sei uno studente?"

Noah iniziò a tremare lievemente.

"Non dirmi..."

"Potresti accompagnarmi a scuola? Sta nevicando e, sai, non sono proprio vestita per questo tipo di stagione..."

Fece l'errore madornale di girarsi verso di lei, dando per scontato che fosse proprio lui quello interpellato.

Appena sentì quella voce rivolta chiaramente a lui, la palpebra sinistra iniziò a pulsare di nuovo, leggera ma insistente

"No cazzo,

NO! Io ho altri piani."

Voltandosi, vide chiaramente la ragazza.

Davanti a lui aveva un aspetto ancora più incantevole di quanto avesse notato prima.

Era più bassa di lui, anche se non di molto, forse 10 o 12 cm.

Fino a quel momento, perso nei suoi pensieri, non aveva chiaramente sentito il suono della sua voce.

"Allora? Mi puoi accompagnare? Tu hai un ombrello…"

Noah era bloccato.

Non tanto per il fatto che stava "parlando", anche se quasi senza parole, con una ragazza. Dopotutto aveva una madre, no?

No, era molto più infastidito da quell'essere che aveva rovinato la sua lettura, la sua tranquillità sull'autobus, la sua solitudine, ritardato con le sue bugie la partenza del mezzo e l'aveva continuamente osservato.

Aveva dovuto usare tutte le sue strategie antisociali solo per analizzarla.

Ma soprattutto era infuriato perché gli aveva rovinato la routine.

Ovviamente, tutto ciò non poteva essere minimamente rivelato alla stalker. Era importante mantenere una facciata decente.

".H.. ha appena detto scuola... questo non va affatto bene.

Ora mi ha visto in faccia, e non avevo nemmeno gli occhi socchiusi.

Mi ha visto il volto sicuramente."

Si voltò di nuovo velocemente, anche se quel solo secondo era bastato.

"Sono nella merda. Ora lo dirà a tutti."

"Ehm... Vai per caso alla scuola qui vicino?" insistette lei, timida ma determinata.

"Mi sono appena trasferita, quindi non sarebbe affatto brutto se mi accompagnassi. Mi sono dimenticata di guardare il meteo, non sapevo avrebbe nevicato. Fa un freddo assurdo!"

"Che dovrei fare? Se l'accompagno, rischio che mi veda ancora il volto, o peggio, gli occhi."

La ragazza rimaneva lì, ferma, sacrificandosi alla neve. Non poteva semplicemente rifiutare. Era bloccato fino al collo.

Ed essendo nuova a scuola, tutti le avrebbero fatto domande. Se la lasciava lì, avrebbe potuto fare il suo nome, dato che prendeva l'autobus nella sua stessa zona.

Avrebbe potuto parlare male di lui.

Con un profondo sospiro si arrese.

"Va bene, posso accompagnarti."

La invitò sotto l'ombrello.

La ragazza accettò subito con un sorriso leggero e un cenno della testa, avvicinandosi rapidamente al suo ostaggio.

Sì, perché ormai era quello, un ostaggio.

Le regole erano chiare.

Non poteva farle niente.

Non poteva comportarsi male con lei o parlarle sgarbatamente.

Non poteva nemmeno essere troppo amichevole, rischiando attenzioni indesiderate in futuro.

E soprattutto non poteva lasciarsi vedere chiaramente il volto, almeno finché non avessero raggiunto la scuola.

Altro che ostaggio, ormai era un martire non ancora morto, un peccatore vivo davanti a Dio.

Tutto quello che poteva fare era accompagnarla in silenzio, sperando non gli rivolgesse più la parola lungo il tragitto.

"Sono solo 5 minuti di camminata.. posso sopravvivere."

"Ma tu, come ti chiami scusa?"

7:19 AM – Schiavitù

Domanda semplice. Diretta. Letale.

Noah avrebbe preferito un calcio negli stinchi.

Almeno lì la risposta sarebbe stata un gemito, non una decisione strategica.

"Nome vero o falso?"

"Gianluca" forse? Troppo italiano. "Mark"? Troppo americano. "Zeno"? Suona strano, ma forse funziona."

No. Troppa pressione.

Mentire?

Vantaggi: anonimato temporaneo, nessun collegamento.

Svantaggi: se scoprisse la verità — e quel "se" era già troppo grande — rischierebbe d'essere etichettato come bugiardo cronico. E quella gente parla. A voce alta. A scuola. Nei corridoi, e addio tranquillita.

"No. Troppo rischio. Troppo facile da smentire"

Rispose con un filo di voce.

"...Noah."

"Piacere, io sono Natalia."

"Naturale. Disinvolta. Senza paura.

Da vera stalker. O peggio: forse è solo gentile."

Continuarono a camminare.

L'asfalto era bianco sporco, e i loro passi crepitavano sotto la neve ormai compatta.

Noah osservò con la coda dell'occhio — senza mai girare la testa — che Natalia tremava.

Le gambe nude, la camicia leggera, felpa ancora sbottonata, e quelle scarpe da estate facevano contrasto con ogni logica stagionale.

Non poteva ignorarlo.

Troppo evidente. Troppo umano.

Non voleva essere gentile, ma quella era una tortuna gratuita, simile alla sua.

Si avvicinò al muro di un palazzo. Un balcone sopra sporgeva abbastanza da ripararli da ulteriori fiocchi.

Si fermò lì, controllando bene l'angolo.

"Perché ci siamo fermati?" chiese lei, con tono innocente.

Noah non rispose subito.

Girò leggermente la testa verso sinistra, come per osservare una macchina parcheggiata.

In realtà, per evitare che lei gli vedesse il volto in pieno.

Con un gesto calcolato, le porse l'ombrello.

"E se ora scappasse?

Se fosse tutto un piano per prendersi l'ombrello? Se si stesse solo fingendo fragile?

Poco importa. Poi non ha senso, visto che prende il mio stesso autobus."

Lei lo prese con un'esitazione leggera, quasi teatrale.

Poi, sempre silenzioso, si spostò la sciarpa dal collo, la lasciò ricadere sulle spalle, e tenendo il libro tra le gambe — in verticale come un pilastro di stabilità — si sfilò il cappotto.

Aveva già svuotato tutte le tasche, prima, perdendo in totale 1 minuto.

Perché non si sa mai.

Lo appoggiò sulle spalle della ragazza.

Non disse nulla.

Lei non disse nulla.

Lui riprese l'ombrello.

Fine dell'interazione. Fase due: sopravvivenza fino al cancello.

Voltandosi verso sinistra, finse di notare un gatto che attraversava la strada.

Poi un'automobile con la marmitta rumorosa.

Poi una coppia di studenti che camminavano come se la neve non esistesse.

"Possiamo continuare. Non manca molto."

Lei lo seguiva.

Ogni tanto provava a osservarlo in volto, forse con curiosità, forse solo per riconoscenza.

Ma Noah era una macchina perfetta.

Appena percepiva un minimo movimento verso di lui, ruotava la testa altrove, in modo talmente naturale da sembrare casuale.

Una tecnica affinata in anni di addestramento sociale involontario.

Passarono davanti a un cartellone scolorito, poi a una fermata secondaria del bus, poi a una fontanella ghiacciata.

Noah non parlava, tuttavia si fermava, anche se brevemente.

Col braccio sinistro — quello opposto a lei — indicava delle strutture, delle direzioni, delle cose.

Non spiegava. Non illustrava. Solo indicava.

Come se bastasse.

Il primo gesto fu verso un sentiero semi-nascosto, fatto di pietre irregolari e piccole pozze d'acqua.

Un corso sottile che conduceva al fiumiciattolo che attraversava l'intera città.

Natalia lo seguì con lo sguardo, in silenzio.

Quando raggiunsero il ponte, Noah si fermò esattamente al centro, sotto ad un lampione.

Lì, la neve sembrava cadere più lenta. Come se il mondo avesse premuto pausa.

Era un incrocio. Quattro uscite. Quattro scelte. Dietro di loro, cera soltanto una vista panoramica sul lago.

Indicò il primo sentiero alla loro sinistra: un piccolo paradiso d'alberi e palazzi stretti, così fitti da sembrare una trappola verde.

Luce filtrata, voci attutite. Silenzio denso.

Disse solo:"Da dove siamo arrivati, il Quartiere vecchio."

Natalia fece un piccolo sorriso, come se apprezzasse il nome."Certo che questo sembra davvero un bel posto!"

Noah non rispose.

Si limitò a guardarla per mezzo secondo coi occhi socchiusi, poi distolse lo sguardo, indicando la davanti a loro.

"Laghetto."

Lì c'era un percorso più lungo, adornato da panchine e una spiaggetta artificiale.

Zona di socializzazione. Di giorno, era pieno di Voci. Cani. Risate.

Luogo evitabile.

"Per coppiette," aggiunse Noah con tono neutro, ma forse una punta di disprezzo trattenuto.

"Ah. Quindi non è la nostra strada,"

Noah non reagì. Indicò la terza via.

"Centro citta, pieno di negozzi commerciali."

L'equivalente urbano del rumore bianco.

Infine si voltò verso la strada che avrebbero dovuto valcare. La più buia.

Due file d'alberi altissimi la fiancheggiavano.

Bloccavano la luce, bloccavano lo sguardo. Bloccavano tutto.

"La più veloce," disse.

Natalia annuì lentamente.

"Noi andiamo lì, vero?"

Noah non rispose.

Fece un mezzo passo in avanti.

Lei lo seguì.

"Certo che, sai parecchie cose di questo posto, sai noramlmente quando si cammina, non si notano cosi tante cose.."

Camminava con passo regolare, lo sguardo basso, e ogni muscolo del volto in uno stato di allerta invisibile.

Aveva appena donato il suo cappotto.

Aveva ceduto l'ombrello, anche se solo per un momento.

E ora stava camminando accanto a una creatura che, fino a un'ora fa, era solo un'anomalia al margine del marciapiede.

7:25 AM – Desiderio intenso

Ed eccola lì: la scuola.

Tre edifici. Grandi, affiancati.

Formavano una specie di ferro di cavallo urbano. Al centro, un albero gigantesco, spoglio e maestoso, affondato nel cemento con la prepotenza di chi sa di esserci da più tempo di chiunque altro.

Noah rallentò.

L'ingresso era a meno di cinquanta metri.

Il gelo aveva coperto ogni superficie visibile di uno strato opaco e scricchiolante, ma non c'era nebbia. Solo aria fredda e la luce lattiginosa dell'alba.

A parte qualche insegnante che passava rapido, la testa già altrove, loro erano gli unici.

Noah inspirò piano, cercando di non farlo notare.

Sentiva la gola secca, la bocca sabbiosa.

Il desiderio era primitivo, quasi animalesco: bere. Subito. Acqua. Qualsiasi tipo.

Niente di tutto questo sarebbe successo, pensò.

"Avrei già bevuto. Sarei gia andato in bagnio. Già scelto un punto d'ombra in cui aspettare la prima lezione. Ma no.

Lei!"

Lanciò un'occhiata a Natalia, rapida, con un movimento da stratega esperto: l'ombrello tra di loro, la testa leggermente inclinata verso destra, come se avesse notato qualcosa oltre lei.

Invece no. L'aveva guardata.

Lei, ancora con il cappotto sulle spalle, sembrava sopportare il freddo con più dignità.

"È grande..." disse lei osservando l'albero, spezzando il silenzio con una voce quasi timida.

"È tipo... sacro?"

Noah non rispose.

Gli sembrava quasi offensivo parlarne.

Come se anche l'albero fosse parte della sua routine e la sua sola presenza l'avesse inquinata.

"Ci siamo, comunque," mormorò, finalmente.

Natalia si voltò verso di lui, stavolta più decisa, e disse:

"Grazie per avermi accompagnata!"

Noah annuì appena.

Un cenno. Rapido. Come se lo avesse fatto per caso.

Stava già cercando l'angolazione perfetta per sparire.

Dietro il terzo edificio, c'era un piccolo corridoio esterno che portava ai bagni.

Missione primaria: acqua.

Missione secondaria: sparizione completa.

"Tanto io devo fare un salto in segreteria," disse Natalia.

"Forse ci rivediamo dopo, chi lo sa."

Lo disse con leggerezza, ma non scherzava.

E non stava bluffando.

Noah provò una sensazione strana. Come una frizione emotiva tra fastidio e sollievo.

"Sì. Forse," mormorò.

Poi si girò, portandosi via l ombrello.

Tre passi verso il lato dell'edificio.

Nessun saluto, nessuna stretta di mano.

Nemmeno un addio.

Solo una camminata determinata.

Natalia rimase immobile per qualche secondo, osservando le sue spalle allontanarsi verso il retro dell'edificio.

Solo allora abbassò lo sguardo.

E vide il cappotto.

"...Aspetta!" gridò d'istinto. "La tua giacca!"

Fece due passi avanti.

Troppi secondi tardi.

Guardò in direzione del passaggio da cui era scomparso.

Un sorriso le sfiorò le labbra, appena visibile.

Poi si voltò, finalmente sola.

E si incamminò verso l'edificio A, tenendo stretto il cappotto sulle spalle come se, per un attimo, fosse suo.

Senza voltarsi.

Noah invece era già sparito dietro l'angolo.

Verso l'acqua e il suo adorato bagnio.

✦ Resoconto Operazione: Stalker e Neve

Obiettivo primario: sopravvivenza. stato: affermativoObiettivo secondario: anonimato. stato: Compromesso.Risultati inattesi:– Donazione volontaria indumenti (inaccettabile).– Espressione minima di gentilezza (grave).– Possibile re-incontro futuro (80%).

Conclusione:Sono fottuto.

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